“Sopravvivere a Sarajevo. Condizioni urbane estreme e resilienza: testimonianze di cittadini nella Sarajevo assediata (1992-1996).

E’ passato quasi un anno da quando ho deciso di riprendere in mano i percorsi che avevo lasciato interrotti, e quelli da cui mi ero discostata perché ritenuti scoscesi per me. Era arrivata la primavera, non solo in termini stagionali, in quel periodo  ritrovo un’amica e insieme decidiamo di andare alla presentazione del libro “Sopravvivere a Sarajevo”  traduzione italiana di “Art Of survival” di Fama Collection, ad opera di Bébert edizioni, presso il Modo Infoshop.  Pochi mesi dopo ricorre il mio trentesimo genetliaco, attorniata da presenti slavi, culinari, alcolici, musicali; tra questi, scarto anche una copia di “Sopravvivere a Sarajevo. Condizioni urbane estreme e resilienza: testimonianze di cittadini nella Sarajevo assediata(1992-1996).”

Non ho mai recensito un libro, non esporrò teorie e non mi atterrò al protocollo del recensore prodigio, ve ne parlo perché ritengo che l’esperienza vissuta sotto l’assedio  rappresenti  un esempio di speranza per l’umanità, citando l’autrice Suada Kapic.

“Sopravvivere a Sarajevo” sarebbe la guida Lonely Planet dell’anno, con svariate “recensioni” in prima persona (ai tempi di tripadvisor et similia, provare l’ignoto non suscita più la curiosità di un tempo), con una peculiarità senza precedenti : questa guida insegna a rimanere in vita, a come ricavare  l’illuminazione da tavolo partendo da un bigodino, che una lavatrice rotta diventa una cuccia perfetta e che le pile scariche resuscitano, se bollite per 5 minuti in acqua salata.

Questo libro affronta l’interminabile assedio di Sarajevo con un punto di vista nuovo, mette in luce la vita dei Sarajevesi partendo dalle loro singole esistenze e non da quello omicida del cecchino (etnico assassino, cit.), degli invasori, o partendo dalle immagini nefaste delle fosse comuni o delle lacrime delle migliaia di donne stuprate.   Non sto asserendo che questi siano aspetti su cui tacere, la narrativa ha già prodotto molto in merito( e c’e n’è ancora da produrre).  Quando accade ciò, il passo dal considerare un popolo attraverso le categorie del pietismo e dell’assistenzialismo posticcio è molto breve. Sopravvivere a Sarajevo parla della vitalità del popolo bosniaco e della cultura prodotta in quei  1395 giorni.

E’ una guida paradossale, amara, pregna di voglia di vivere. Una guida assurda, di un assedio ancora più assurdo, avvenuto in Europa alla fine del Novecento, in una comunità urbana che fino a due anni precedenti apparteneva ad un unico paese, ad una unica ideologia che batteva parossisticamente proprio sul concetto di “fratellanza e l’unità”.

Pretende di vivere, adattandosi e reagendo : è la resilienza di Sarajevo che si concretizza attraverso i tre gradi mezzi antropologici chiamati equilibrio, attività quotidiane e creatività. Sono le cifre che forniscono la chiave di lettura e ne danno il senso. Fare cultura diventa una vera e propria forma di resistenza, dalle università ai musei, passando per installazioni urbane e performance teatrali, la città continua a vivere un fermento che non si piega nemmeno davanti alla distruzione della sua famosa biblioteca. Ciò che emerge in maniera dirompente dalla lettura di Sopravvivere a Sarajevo è come la cultura sia equipollente al pane e all’acqua, come uno spettacolo di teatro, un concerto, un incontro per parlare di cinema siano state ancore fondamentali per la sopravvivenza psicologica di persone annientate in una trappola fisica e mentale.

In questo prezioso collage fotografico, in cui equilibro, creatività e attività quotidiane procedono con tono incalzante, creando un’osmosi. Scorriamo e scopriamo che uno scantinato non è solo un rifugio antiaereo, è un’ottima serra per coltivare funghi e anche un luogo sicuro per giocare a scacchi. “Giocavamo a scacchi seduti della tromba delle scale, oppure nello scantinato, o in qualsiasi angolo sicuro riuscissimo a trovare. Quello era il nostro modo di resistere, la nostra battaglia era il gioco, un mezzo per dimostrare che non era la morte a regnare a Sarajevo.”

Nel tentativo di riscaldare cibo e stanze si bruciava di tutto: scopriamo così che le scarpe in pelle di serpente sono le migliori per il riscaldamento e correre sotto il fuoco dei cecchini. “Una scarpa in pelle di serpente produce calore sufficiente per cuocere i fagioli: il sistema di valori era cambiato e con esso la funzione degli oggetti.” Si scambiavano viveri con piccoli lavori manuali, con tagli di capelli. Le sigarette saranno il bene più scambiato e più richiesto. E tra queste minuscole attività vitali, gli artisti creano laddove tutto viene distrutto. Oslobodjenje, il famoso quotidiano bosniaco nato nel 1943 in piena Resistenza è uno dei simboli di quegli anni, dal 1992 al 1996, i giornalisti rischiavanodi incontrare la morte ogni giorno. “Anche se era un’edizione di due sole pagine, sapevamo che i cittadini di Sarajevo attendevano in strada l’uscita del numero del mattino : c’era tanta fame di cibo quanta di notizie.” L’anima si sforzava incessantemente per creare gioia, trovare ristoro. Spettacoli teatrali, rassegne, e la speciale edizione di Miss Sarajevo sotto assedio nel 1993. “Non potevamo fare nulla per evitare la distruzione della città. Ma c’era in noi una sorta di resistenza: dovevamo mantenere vivo almeno lo spirito della città. Se avessimo lasciato che si smorzasse, Sarajevo sarebbe morta definitivamente.”

Così svetta sopra la Miljack L’uomo che volava sul fiume, enorme installazione dell’artista Enes Sivac, con la speranza che tutti i runner (com’erano chiamati tutti quelli che attraversavano di corsa un ponte sotto la mira dei cecchini) potessero vedere l’opera e, da questa, trarre coraggio e speranza.

Sono  pagine di esperienze da leggere, di una resilienza ammirevole sotto un assedio di quattro anni, 1395 giorni senza luce, acqua e gas, una città circondata dalle truppe , da 260 carri armati e 120 mortai, un assedio mirante non all’annientamento fisico, bensì a quello culturale, a quel substrato di meticciato che da sempre ha caratterizzato la capitale bosniaca.

Perché leggere Sopravvivere a Sarajevo?  Ravvivare la memoria collettiva di un passato recente attraverso le persone e le loro parole, perché il testo non dà un’interpretazione sulla guerra, mette in luce la forza degli uomini per non morire, per non soccombere fisicamente e mentalmente.

 

Fonti, citazioni e immagini fluttuanti.

East Journal https://www.eastjournal.net/archives/tag/sopravvivere-a-sarajevo

Wikipedia Vedran Smailovicil violoncellista di Sarajevo