Se ci fosse una capitale dell’anima, a metà tra oriente e occidente, tra sensi e filosofia, tra onore e imbroglio, avrebbe sede qui. Nel mezzo della città si apre via Spaccanapoli, un rettilineo di più di un chilometro, stretto e vociante, che divide in due l’enorme agglomerato. È il cuore di questa babele della storia.
Queste sono le parole di Stanislao Nevio sulla città partenopea, e non potrebbe essere altrimenti, perché Napoli è un caleidoscopio di arte e poesia, letterati e studiosi, di stili e nazionalità, di sfumature differenti. Napoli è fluttuante, lo abbiamo già visto studiando la storia delle origini di Odessa, lo abbiamo ricordato nuovamente ripercorrendo il legame con la Russia, con Palafrenieri esposti ai lati della porta del giardino del Palazzo Reale. Questa volta è dal Complesso Monumentale di Donnaregina – Museo Diocesano di Napoli che cominciamo il nostro itinerario verso Est e da Est. E’ qui che ci immergiamo nella stupefazione della Chiesa angioina per conoscere ciò che hanno da insegnarci le pagine del secolo più grande dell’arte della cultura locale che va dalla seconda metà del Duecento a tutto il Trecento. Sono gli anni della dominazione angioina, a seguito della vittoria di Carlo I d’Angiò a Benevento sulle truppe sveve nel 1266. La capitale del regno viene spostata da Palermo a Napoli e quest’ultima diventa teatro di cambiamenti ragguardevoli, con un ampio respiro internazionale. Viene sottoposta a un nuovo piano urbanistico in cui la parte più antica indossa vesti conventuali e religiose, mentre le attività commerciali si sviluppano lungo la costa. La Napoli angioina è luogo di grande ed intensa attività culturale, grazie ai sovrani che non risparmiano sulle realizzazioni artistiche et similia.
“Napoli grazie agli Angioini, sarà tra le prime città in Europa, ad importare il Gotico, il nuovo stile architettonico nato in Francia. Al seguito di Carlo d’Angiò giunsero geniali architetti francesi quali Pierre d’Angicourt e Pierre de Chuale. La nuova corrente gotica, tuttavia, trovò una difficile assimilazione nelle maestranze locali le quali, pur aderendo al nuovo stile, mantennero la loro tradizione classicheggiante, fortemente ancorata nelle istanze romaniche. A Napoli si darà vita pertanto a un “gotico moderato”, con un carattere verticistico più attenuato, gli edifici saranno meno slanciati rispetto alle grandi cattedrali francesi”.[1]
Inoltre Napoli rappresenta un caso quasi unico in Italia per la ricchezza di testimonianze di scultura funeraria trecentesca presenti nelle sue chiese, che ancora oggi svolgono un importante ruolo divulgativo, in quanto preziose documentazioni storiche, oltre che artistiche. Scultore rappresentativo di questo periodo è Tino di Camaino a cui viene commissionato il monumento funerario di Maria d’Ungheria in Santa Maria Donnaregina il 31 maggio 1326. Realizza una sensazionale opera in marmo bianco che entra nel novero dei capolavori della scultura gotica. La tomba, contenuta da un’edicola gotica, è sorretta da quattro Virtù, prudenza, temperanza, giustizia e forza, su cui poggia la statua distesa della regina con ai lati due angeli raffigurati nell’atto di aprire le cortine per mostrare la defunta. “Il senso ascensionale del complesso è accentuato dalla posizione diagonale degli angeli, rivolti verso la Vergine che riceve da uno di essi il modellino della chiesa di Donnaregina”.[2] Dalla bellezza delle linee possiamo risalire ad alcuni considerevoli capitoli della storia europea, a intrecci dinastici tra i più importanti, spesso obliati: gli ungheresi nello spazio angioino.
La regina Maria appartiene alla prestigiosa famiglia Árpád, prima dinastia che regnò in Ungheria dall’896 al 1301 e, a partire da lei, disveliamo alcuni sentieri della storia di Napoli e del suo legame antichissimo con l’Ungheria, che affonda le sue radici nella storia medioevale e ruota attorno alla figura, appunto, della regina Maria d’Ungheria andata in sposa a Carlo II d’Angiò nel 1269. Gli effetti di questa unione si protraggono per diverse generazioni di sovrani napoletani e ungheresi. “Per più di un secolo, in sostanza, due regni dalle tradizioni culturali e sociali solide e strutturate si confrontarono in quel gioco di relazioni diplomatico-matrimoniali e militari che costituì la cifra della politica di espansione angioina in tutto lo spazio mediterraneo”.[3]
Carlo I d’Angiò, fondatore del Regno di Napoli e fautore della sua internazionalizzazione, ben consapevole della notabilità del Regno d’Ungheria nello scenario europeo, sia in termini politici che di prestigio religioso, in quanto baluardo della cristianità europea contro gli Ottomani, nutre il desiderio di suggellare una forte amicizia con la dinastia arpadiana attraverso il matrimonio, costume molto comune tra famiglie reali.
Maria d’Ungheria dopo le nozze con Carlo II D’Angiò, detto lo Zoppo, acquisisce il titolo di regina consorte di Napoli e riceve il castello di Melfi come residenza ufficiale nel 1284. Dal loro matrimonio nascono 13 figli, il cui primogenito è Carlo Martello, al quale Dante Alighieri gli ha dedicato il canto VIII del Paradiso. La regina Maria, andata in sposa a tredici anni, è una giovane tenace, temeraria e potente, si prodiga e protegge i propri cari ma dal 1300 si allontana dagli avvenimenti politici per dedicarsi attivamente alla fede religiosa, occupandosi di alcune fondazioni e conducendo una vita consacrata alla preghiera tra le clarisse dell’antico monastero di Donnaregina, dove erano presenti dal XIII secolo, e costituivano un luogo importante per la comunità cristiana.
Il convento viene gravemente danneggiato da un terremoto del 1293 e viene ricostruito proprio per volere della regina italo-ungherese. La nuova chiesa, aperta al culto nel 1316 viene consacrata nel 1320 e la regina verrà sepolta in una tomba monumentale, opera di Tino di Camaino completata nel 1326. “Questo monumento conserva oggi in maniera esemplare la memoria dello straordinario mecenatismo della regina Maria d’Ungheria testimoniato dal magnifico edificio di stile gotico e dai suoi affreschi del primo Trecento, opera dell’insigne pittore romano Pietro Cavallini e della sua bottega, a rappresentare l’eccezionale senso artistico della sovrana”.[4]
Maria d’Ungheria è la chiave di volta per comprendere l’architettura, la forma, i colori e le decorazioni. Il dominante stile germanico è lo stesso diffusosi durante il 1200 in Ungheria, e qui si combina con il retaggio stilistico e ideologico della Napoli angioina. La santità magiara tanto anelata dal primo sovrano trova forma anche negli affreschi con le storie di Santa Elisabetta d’Ungheria
Dall’eleganza del baldacchino gotico del “Giotto di Napoli” abbiamo letto alcune sfumature della rinascenza del regno, frutto anche delle fluttuazioni tra Napoli e l’Ungheria. Questo è solo l’inizio di un grande libro di storia. Toccherà andare a vedere anche il prosieguo in terre ungheresi.
Alla prossima.
[1] La Napoli Angioina: crocevia di grandi letterati e artisti
[2] Tino Di Camaino: “il Giotto della scultura” alla Corte di Napoli
[3] Lo spazio angioino: alcuni confronti
[4] Maria Prokopp, Ricordi ungheresi medievali d Napoli, Budapest, Romanika,2014, pp. 212