Anna Achmatova e Amedeo Modigliani : intimismo artistico italo-russo.

La vicinanza e le connessioni storiche e culturali tra Est Europa, Russia e Italia hanno dato e continueranno a dar vita a narrazioni infinite, a libri da infiniti capitoli. Fluttuando sulle Linee è nato proprio a partire da queste ricerche. Ma possono queste connessioni andare oltre le pagine della storia ufficiale, scivolare verso l’intimismo delle due vite che si incontrano, dal cui sentimento si levassero doni di arte visiva e versi capaci di far vibrare l’anima come corde di un violino? Questo incontro va oltre la storia ufficiale, si basa su poche testimonianze e ci catapulta nell’atmosfera della Parigi avant guerre. Loro sono Anna Achmatova e Amedeo Modigliani.

La loro storia ha sempre incuriosito critici e studiosi, perché è avvolta in un alone di mistero. Taluni sostengono si sia trattato solo di un’amicizia, di uno scambio artistico, altri avallano l’ipotesi di una forte passione d’amore, bruciata in pochissimo tempo. La mia immaginazione e la mia suggestione mi portano a schierarmi con questi ultimi.

Si incontrarono nella Parigi prima della guerra mondiale, l’isola dell’ internazionalismo culturale, dove sogni, sfumature e visioni coloravano le vie di Montparnasse, dove dai fondi dei boccali e dei bicchieri dei Boulevards nasceva il genio dell’arte. Dai fondi ebbri all’eternità, dalla realtà alla leggenda, dalla storia all’immortalità. Parigi fu fluttuante, eccome se lo fu, di speranze, di abbattimento di confini, la fantasia fluttuava nell’aria insieme alle onde fumose dell’oppio e dei sigari.

Ciò che era allora Parigi, già all’inizio degli Anni Venti veniva chiamato “Vieux Paris et Paris avant guerre”. Numerose ancora prosperavano le carrozze con le loro bettoline “Au rendez-vous des cochers” ed erano ancora vivi quei miei giovani contemporanei che presto sarebbero periti sulla Marna e presso Verdun. Tutti gli artisti di avanguardia, tranne Modigliani, erano riconosciuti. Picasso era altrettanto famoso di quanto lo è oggi, ma chissà perché si diceva sempre “Picasso e Braque. (…)Marc Chagall aveva già portato a Parigi la sua magica Vitebsk e per i viali di Parigi camminava, giovane sconosciuto, astro non ancora sorto, Charlie Chaplin,(il Grande Muto ancora eloquentemente taceva).”

Come si conobbero i nostri? Cosa facevano entrambi prima di approdare nell’atmosfera parigina? Anna era nata sul mare, come Amedeo, nei pressi di Odessa nel 1889 che, come Livorno, era un importantissimo porto di mare. Anna ci stette poco in quanto da lì a poco si sarebbe trasferita vicino Pietroburgo. Un prodigio dalla tenera età, a cinque anni già parlava francese e a undici compose la sua prima poesia, a cui ne seguirono tantissime durante il periodo del Liceo Femminile. Divenne sempre più forte il desiderio di voler pubblicare, previa l’accettazione del padre severo che non avallava tal vocazione. La definì con toni sprezzanti “poetessa decadente” intimandola a cambiare cognome, in caso avesse persistito per questa strada, vista come disonorevole per la famiglia. Anna non ci pensò due volte. Il suo nome originale era Anna Andreevna Gorenko e la sua famiglia vantava origini illustri: si diceva che discendesse dal grande khan tartaro Achmat che nel 1480 aveva lanciato l’ultima grande offensiva dell’Orda d’Oro contro i Principi di Mosca e che fu ucciso nella sua tenda da un pugnale russo ma da mano tartara. Anna si compiaceva nel dire che tra i suoi antenati vi era anche il leggendario Gengis Khan, detto fatto Anna Andreevna Gorenko divenne Anna Achmatova. Pochi sapevano che era una chiaroveggente, che leggeva il pensiero altrui, avendo pure visioni premonitrici. Non a caso era nata il 23 giugno nella notte di San Giovanni, nel mondo slavo pagano “la notte di Ivan Kupala”, notte in cui si risvegliavano le streghe e le rusalki dai corsi d’acqua della Russia, notte di magie e di incantesimi. La tradizione vuole che in quelle ore le potenze sia del bene che del male siano talmente forti che la Chiesa Ortodossa avesse istituito speciali riti di purificazione. Nel 1910 sposò Nikolaj Gumilëv e come meta del viaggio di nozze scelsero Parigi, dove la comunità russa era molto folta.

Anna era particolarmente felice perché vedeva per la prima volta la capitale francese e sentiva parlare la lingua di cui aveva sempre amato la poesia.

Visitarono la Tour Eiffel, passeggiarono lungo i Grand Boulevard, ammirarono le eleganze delle donne parigine, la Parigi delle piazze piene di verde e dei vicoli acciottolati con le fiaschetterie. Una Parigi bellissima e ricercata ancora ignara dei disastri che porterà di lì a poco la Grande Guerra. Tutti ammiravano Anna che colpiva per la bellezza aristocratica e per la classe. Era considerata una delle più belle donne del suo tempo, si vociferava che di lei si fosse perfino innamorato a suo tempo anche lo zar Nicola II. Alta, magra, con lunghe gambe, braccia sottili, un viso illuminato da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che aveva affascinato i suoi ritrattisti, era l’immagine della femminilità, affascinante, dominante e misteriosa. E quest’alone di mistero talvolta si accentuava ancor più quando in lei si fondevano per chissà quali strane alchimie il suo essere chiaroveggente, rusalka, strega e poetessa allo stesso tempo e così agli occhi dei passanti appariva come una misteriosa aristocratica giunta da chissà quale misterioso paese. Passeggiando per la città e godendo delle meraviglie che si presentavano davanti al suo sguardo, Anna era assolutamente ignara che a breve avrebbe incontrato Amedeo Modigliani. L’artista italiano era nel pieno del fervore creativo, la sua pittura riscuoteva successo, anche se la scultura lo assorbiva prevalentemente. Nella pittura non aveva maturato ancora lo stile personale e inconfondibile che lo avrebbero reso immortale. Quando incontrò la giovane poetessa negli ambienti letterari frequentato dai russi, ne rimase affascinato.

Modigliani sosteneva che la vita doveva essere vissuta fino in fondo, senza inutili sacrifici, incurante degli ostacoli, ma con una ben chiara meta, talvolta anche con dolore, al fine di salvare il proprio sogno.

Anche lui come Anna era un chiaroveggente e di questo pochi ne erano a conoscenza e di tale dote particolare ne fa riferimento esplicito la stessa Anna nella sua memoria: “Ora capisco, che in me soprattutto lo aveva colpito la mia facoltà di indovinare i pensieri, di vedere i sogni altrui, e varie inezie, alle quali erano già abituati coloro che mi conoscevano da tempo. Ripeteva sempre: “On communique”. Spesso diceva:“Il n’y a que vous pour réaliser cela”. Scoprì probabilmente di avere questi doti in età precoce, infatti all’età di soli quattordici anni a causa di un terribile delirio dovuto ad una febbre tifoidea, Amedeo rimase in sospeso tra la vita e la morte per diverso tempo. Proprio durante la convalescenza frequentò l’atelier del pittore livornese Guglielmo Micheli. in questo periodo che scoprì la bohème, il tabacco, le donne e soprattutto lo spiritismo. I suoi contemporanei ce lo descrivono come un ragazzo bellissimo e affascinante, come possiamo leggere nella testimonianza lasciataci dal suo primo mecenate Paul Alexandre “Modigliani affascinava fin dal primo istante” “Nonostante la bassa statura (era alto meno di un metro e sessanta), era molto bello e aveva un gran successo con le donne”; “ Era un aristocratico nato” (…) “Modigliani aveva il gusto del rischio. Egli pensava che non bisogna aver paura di rischiare la vita per renderla grande. Insieme a un’acuta intolleranza per la vita mediocre, c’era in lui la pretesa dei privilegi dei principi”; “ E che aveva una passione esclusiva per la sua arte. Neanche parlarne di abbandonare anche per un solo istante, per dei compiti che ai suoi occhi apparivano sordidi, ciò che era la sua stessa ragione d’essere”; “Possedeva già radicata in sé, la certezza del proprio valore. Sapeva di essere un iniziatore , non un epigono”.

L’anno dell’incontro con Anna, Amedeo aveva esposto con successo sei opere al Salon des Indépendants, tra cui spicca il Violoncellista(mettere quadro) Successivamente a partire dal 1911 avrà inizio la produzione famosa nota con il nome di Cariatidi, tra cui, in una, la famosa Mademoiselle Grain de Café, sembra abbia tratto ispirazione dalla stessa Anna che probabilmente posò per lui. Di questa passione per l’arte africana e per la scultura ce ne parla la stessa Anna nella sua memoria: “A quel tempo si occupava di scultura, lavorando in un cortiletto vicino allo studio (nel deserto vicolo si udiva il battito del suo martellino), in aspetto operaio. Le pareti del suo studio erano tappezzate di ritratti di inverosimile lunghezza (se ben rammento dal pavimento al soffitto). Non ne ho mai visto riproduzioni: sono sopravvissute? Egli chiamava la sua scultura “la chose”: fu esposta mi pare agli Indipéndants, nel 1911. Mi pregò di venirla a vedere, ma alla mostra non mi avvicinò, perché non era sola, ma con amici. Nell’epoca delle mie grandi perdite, è scomparsa anche la fotografia che mi aveva donato di questa “sua cosa”.

A quel tempo Modigliani s’infervorava per l’Egitto.Mi conduceva al Louvre a visitare il reparto egiziano, assicurandomi che “tout le reste” non meritasse attenzione. Disegnò la mia testa con gli addobbi delle regine egiziane e pareva del

tutto ammaliato dalla grande arte dell’Egitto. E’ chiaro, l’Egitto fu la sua ultima infatuazione. Presto sarebbe divenuto cosi originale da non richiamare più nulla alla mente di chi ne guardava le tele. Questo periodo di Modigliani viene ora chiamato “période nègre”. Diceva “Les bijoux doivent être sauvages” riferendosi alle mie perle africane, e mi ritrasse con quella collana.” (mettere quadro ).

Con il suo cappello a falde larghe e il suo foulard rosso, Modì trascorreva le sue giornate a dipingere, a dar forma alle sue fantasie, partecipando alla vita artistica e culturale dei bistrot, dei café e dei cabaret, centri nevralgici della vita culturale parigina. L’incontro tra Anna e Amedeo avvenne proprio in uno di questi luoghi, al café La Rotonde, nel tepore di fine giugno, quando il cielo azzurro terso abbraccia le calde sfumature aranciate del crepuscolo. Mentre alzò lo sguardo alla ricerca di un’ispirazione, incrociò quello della sinuosa rusalka, appena entrata, frastornata dalla lunga camminata e curiosa di vedere il café tanto famoso. Quello sguardo non lo dimenticherà nessuno dei due, fissandosi nel ricordo dell’eternità. Fuori dal tempo e dallo spazio, Anna scordò di essere in viaggio di nozze, lo spazio attorno si annullò, vivevano solo le loro esistenze. Amedeo, passato l’immobilismo iniziale, tracciò una linea sul suo blocco e glielo mostrò. I sussulti aumentarono e Anna sentì la necessità di allontanarsi (il marito l’attendeva fuori dal café), promettendo di ritornare il giorno dopo, cosa che fece, con la banalissima scusa di recuperare lo scialle dimenticato. L’indomani Anna gli porse velocemente un foglietto accartocciato e ingiallito e fuggì via prima di esser vista. Amedeo le scrisse tutto l’inverno, con il suo volto e i suoi lineamenti eleganti impressi nella mente. Il matrimonio non era esattamente un nido di amore e, dopo la nascita del figlio Lev, Anna tornò a Parigi da sola, desiderosa di affermare la propria personalità, di vivere liberamente la propria vita, di ritrovare il giovane toscano che l’aveva ritratta sul suo blocco. Lo trovò e tra i due si stabilì un rapporto artistico e non solo. Sarebbe molto interessante conoscere i dettagli di questo viaggio, purtroppo non c’è dato saperlo, le informazioni si sono perdute probabilmente nella tragedia delle guerre e in quella personale della stessa Anna. Agli occhi di Amedeo apparve ancora più bella, più affascinante di come la ricordasse,

Agli occhi di Anna, invece “Presto fede a coloro che lo descrivono diversamente da come io lo conobbi. Ed ecco perché. Anzitutto io potei conoscere solo un aspetto della sua natura (quello splendente): ero soltanto un’estranea, una straniera, una donna ventenne probabilmente non molto comprensiva; e poi io stessa notai in lui un gran cambiamento, quando ci incontrammo nel 1911. Si era come offuscato e smagrito”. Ebbe così inizio la relazione che Anna conserverà sempre nel suo cuore, che l’aiuterà a sopravvivere negli anni bui dello stalinismo, quando non le sarà concesso pubblicare, quando si ritroverà sola, avvolta nel dolore della solitudine e del pensiero del figlio confinato in un Gulag. Sarà proprio quel ricordo a mantenerla in vita. Trascorrevano intere giornate insieme, leggendo i poeti francesi sulle panchine dei Jardins du Luxemburg. Mentre l’artista livornese fissava nella sua mente il corpo della ragazza, protagonista di diversi suoi disegni, dove appare nuda, nel suo corpo androgino, flessuoso. Il loro è stato un incontro tra due anime sensibili superiori, portatrici del cambiamento culturale in atto, del fervore artistico prima della barbarie della guerra e dei totalitarismi del XX secolo. Vissero intensamente ogni momento, consegnandolo al tempo infinito, incuranti del dopo.

Probabilmente io e lui non capivamo una cosa essenziale: che tutto ciò che stava accadendo era preistoria della nostra vita: molto corta la sua , la mia molto lunga. Il soffio dell’arte non aveva ancora incenerito, né trasformato queste due esistenze: doveva essere un’ora luminosa, leggera, antelucana. Ma, com’è noto, il futuro proietta la sua ombra molto prima di entrare, bussava alla finestra, si nascondeva dietro i lampioni, intersecava sogni e metteva spavento, con la terribile Parigi di Baudelaire, che ci stava accanto, chissà dove in agguato. E tutto ciò che v’era di divino in Amedeo sfavillava soltanto attraverso uno strato di tenebre. Aveva la testa di Antinoo ed occhi dalle scintille d’oro, – non assomigliava assolutamente a nessuno al mondo. La sua voce mi è rimasta per sempre nella memoria. Lo sapevo povero, tanto che non si capiva di cosa vivesse,- come artista, nemmeno un’ombra di riconoscimento”.

Le giornate trascorrevano leggere e spensierate, le notti ebbre e avvolte nella passione, nel calore dei loro corpi. Il ticchettio del tempo non si fermava e l’ora dell’addio incalzava, la loro ultima passeggiata, l’ultimo sfiorarsi e toccarsi. Nonostante le promesse, entrambi sapevano non si sarebbero più rivisti. L’autunno stesso, Anna scrisse “Il canto dell’ultimo incontro”

Così debole il petto intirizziva,

ma i miei passi erano lievi.

Nella mano destra infilai

Il guanto della sinistra.

Parevano molti i gradini,

ma io sapevo che erano tre soli!

Un bisbiglio autunnale tra gli aceri

Supplicò:“Muori con me!”

Sono ingannato dalla mia sorte

Squallida, volubile, maligna”.

Risposi:“Mio caro, mio caro!

Io pure. Morrò con te…”

Questo è il canto dell’ultimo incontro.

Volsi lo sguardo sulla casa buia.

Soltanto nella camera ardevano candele

D’una fiamma indifferentemente gialla.

Amedeo morirà nove anni dopo il loro ultimo incontro, mentre la Rusalka attraverserà condizioni di miseria esistenziale ed economica, disprezzata dal regime staliniano, bistrattata da quella Russia che non riuscì mai ad abbandonare, al contrario di tanti intellettuali che scelsero la strada dell’esilio o del suicidio. Dovrà attendere la morte di Stalin. Anna tornerà a Parigi cinquantaquattro anni dopo il loro incontro, a vedere il luogo del loro sentimento un ultima volta. Morirà l’anno dopo.

Così vicino, così lontano Anna e Amedeo sublimano il loro sentimento, dove noi non possiamo arrivare. E vero, Anna si è sposata altre due volte e Modigliani ha avuto altre storie, ma senza raggiungere quell’apice di sensibilità artistica. Anna e Amedeo rappresentano e testimoniano un’epoca che qualche mese dopo sarà divorata dalle esplosioni e dalle fiamme del conflitto che in poche settimane diverrà una guerra mondiale.

Mi diverte quando sei ubriaco

e nelle tue storie non c’è senso.

Un autunno precoce ha sparpagliato

gialli stendardi sugli olmi.

Ci addentrammo in un falso paese,

ora ce ne pentiamo amaramente,

ma perchè sorridiamo di un sorriso

strano e raggelato?

Al posto di una pacifica gioia

volevamo un dolore che mordesse…

no, non lascerò il mio compagno

dissoluto e tenero.