“Io posso scrivere della Russia solo stando a Roma. Solo da lì essa mi si erge dinanzi in tutta la sua interezza, in tutta la sua vastità”. Queste sono le parole iscritte nel basamento di una statua in bronzo di Nikolaj Vasilevich Gogol’ (1° aprile 1809 – 4 marzo 1852) a Villa Borghese, a Roma, opera dello scultore georgiano Zurab Tsereteli. Ogni scrittore ha legato inevitabilmente il suo nome a una città e un periodo, e l’Italia ha rappresentato una fonte di ispirazione e un paradiso presso cui rifugiarsi per molti scrittori e artisti russi. Non fu da meno il Gogol’ con la città eterna.
Mi sono accostata al tema del rapporto tra Gogol’ e Roma grazie a un capitolo tratto dal libro “L’Est Europeo e l’Italia”, ma è stata la lettura di “La meravigliosa Roma di Gogol’. La città, gli artisti, la vita culturale nella prima metà dell’Ottocento” di Rita Giuliani la vera “pillola rossa” alla scoperta di questo legame lungo, fruttuoso ed emblematico. Data la vastità attorno al legame tra Gogol’ e l’Italia, seguirà anche un altro articolo. In questo primo articolo, mi piacerebbe condividere con voi l’amore intimo del nostro verso la capitale, attraverso le parole dell’autrice e delle informazioni sulla novella “Roma”. Chiedo subito venia per la mia “Incompetenza wordpressiana” nel citare correttamente in maniera tecnica, quindi preciso qui che le frasi in grassetto sono tratte dall’opera dell’autrice citata poc’anzi. Detto ciò, fluttuiamo a Roma. Nel panorama della letteratura russa, nessuno scrittore più di Gogol’ è stato tanto influenzato dall’Italia e soprattutto dalla capitale. È ormai opinione risaputa e consolidata che senza Roma Gogol’ non avrebbe portato a termine la prima parte delle “Anime morte” . Il rapporto, personale e creativo, che legò Gogol’ a Roma fu talmente profondo e ricco di tali implicazioni da consentire di affermare l’assoluta, «geometrica» centralità della Città eterna nella vita dello scrittore e nell’evoluzione della sua visione del mondo e dell’arte. Negli studi gogoliani, che a lungo hanno sminuito, quando non ignorato, il significato dell’esperienza romana dello scrittore, quest’affermazione risuona ormai sempre più frequente e chiara . Non si può dire che sia avvenuto lo stesso con la novella Roma (Rim), l’opera in cui Gogol’ ha immortalato e sigillato, in un conte- sto narrativo, il prodigio della rigenerazione spirituale e fisica sperimentata a Roma. Cercheremo qui di dimostrare come, al pari della Città eterna, anche la novella che di Roma porta il nome occupi un posto centrale nell’opera e nella poetica gogoliane. Roma è un luogo dalle mille sfumature, un luogo da ammirare, è un porto sicuro e un’ancora di salvezza nei momenti di abisso esistenziale, luogo dalle sinergie adatte in cui potersi dedicare alla propria attività di scrittore. Gogol soggiorna a Roma,in tutto, circa quattro anni e mezzo tra il 1837 e il 1846. Nella sua lunga permanenza nella città si possono distinguere un primo e secondo periodo. Si può indicare come “primo” il periodo che va dal marzo 1837 all’agosto 1841, quando Gogol’ parte per la Russia, rimanendo lontano da Roma per più di un anno. Il “secondo” periodo va dall’ottobre 1842 al maggio 1846, quando lo scrittore lascia definitivamente Roma, per preferirle Napoli. Come ci fa notare sempre l’autrice, nel primo periodo romano si bea della grandiosità e dell’avvenenza romana, scruta i costumi indigeni, scova gli ambienti artistici, rimanendo colpito dai Nazareni, dal loro stile arcaicizzante e dalla loro chimera rivolta al passato. Roma pare un lembo felice, una terra idilliaca da cui sono bandite tristezza e disfacimento, con una solenne quiete paradisiaca. Cosa ha ammaliato lo scrittore, tanto da sentire sua una città in una terra lontana in cui è ospite, rispetto alla terra che gli diede i natali? Gogol’ vi trova realizzati due suoi ideali : il primo è quello illuministico dell’uomo libero, pieno di energie vitali, che non si contrappone alla massa, ma si fonde armoniosamente con essa; è l’ideale di una natura umana integra, non frammentata, di un uomo «bello», dotato di talento, coraggio, bellezza fisica e spirituale, originalità. Il secondo ideale è quello di una società patriarcale, libera dalla politica, abitata da uomini forti, passionali e armoniosi in opposizione con le società snaturate quali San Pietroburgo e Parigi. E’ una visione analoga a quella dei Nazareni,un po’ avulsa dalla realtà, perché non permette di constatare
l’arretratezza burocratica e l’anacronismo delle strutture capitoline.
Tra il 1840 e il 1841 grazie all’amicizia con il pittore Aleksandr Ivanov, si avvicina ancora di più ai Nazareni, condividendo sempre più una visione rivolta al passato, alla fede incorruttibile e all’arte inarrivabile. Roma è ben lontana dal frastuono, dal materialismo, dalle novità delle altre capitali europee, chiusa nelle tenaglie del rigore dello Stato Pontificio, è relegata alla periferia del continente. I suoi caratteri sorpassati sono molto cari allo scrittore russo e agli artisti tedeschi. È un legame profondo quello che si stabilisce tra lo scrittore e quella che lui stesso definisce “patria”. Sembra quasi che Gogol’ rinneghi la sua vera patria, la Russia, che tanto gli aveva dato in termini di notorietà, ma che non gli aveva trasmesso nessun arricchimento. Lo stesso Gogol’ afferma di non essere mai stato in alcun luogo tanto felice; Roma si presenta così agli occhi dello scrittore come un paradiso, un posto portatore di immensa gioia. È una città piena d’arte e di storia quella che ci viene incontro dalle parole di Gogol’, una città che unisce il vecchio al nuovo, l’antico al moderno, senza corrompersi. Purtroppo il primo soggiorno romano di Gogol’ è legato anche al cambiamento drammatico della sua vita : le manifestazioni e l’acuirsi del disturbo della personalità, una forma di “psicosi bipolare”. La malattia si esplica come un’altalena in continua oscillazione tra esaltazione, iperattività, forte inventiva e disperazione, abbassamento dell’attività intellettuale, contristamento per i propri peccati. Con l’aumentare delle crisi, l’uomo Gogol’ si allontana dalla vita mondana, dai circuiti artistici romani, per chiudersi nel proprio intimismo. Da qui la partenza e il ritorno a Roma l’anno successivo, nell’autunno 1842, con l’inizio del secondo periodo romano. Sono lontani e accantonati i giorni dell’idillio e dell’ ”Eden romano”, permeato dall’ ispirazione inizia a comporre l’opera monumentale , la trilogia delle “Anime morte”. Senza Roma Gogol’ non sarebbe divenuto Gogol’. A Roma matura in lui il desiderio, l’esigenza di comporre un’opera monumentale, il capolavoro cui affidare la propria parola artistica e il proprio messaggio morale. A Roma si deve il “miracolo”della stesura del primo volume delle “Anime morte”, portato a termine nonostante l’ossessione di non riuscire ad ultimarlo; sempre a Roma stende i suoi manifesti estetici , “Roma” e la seconda edizione del “Ritratto”. Ad essi Gogol’ affida, come in un testamento solenne, la formulazione del suo ideale d’artista, lo scrittore-monaco, e quella dell’utopia della palingenesi dell’uomo russo in un uomo totalmente “bello”. Fino alla fine dei suoi giorni romani Gogol’ respirerà a pieni polmoni l’aria che lo circonda, cogliendo tutti gli umori e le sfaccettature. Assiste all’ascesa e alla caduta del movimento purista, ultimo ad aver reso Roma capitale dell’arte in Europa. Essa declina nel panorama europeo e nell’intimo del nostro, che condividerà con la sua patria dell’anima anche il ripiegamento.
Prima che la sterilità creativa si abbatta su di lui, la Città eterna riesce ancora a concedere a Gogol’ un ultimo dono: il “frammento” “Roma”, quest’opera singolare che è rimasta quasi sconosciuta in patria. “Roma” esce nel marzo 1842 nel terzo numero della rivista “Il moscovita”, a maggio escono le prime copie delle “Anime morte” che attirano immediatamente il pubblico, confinando in secondo piano la novella. Dopo non scriverà più nulla, è l’inizio del silenzio creativo. L’opera rappresenta il suo ringraziamento alla Città per una felicità, personale e creativa, mai sperimentata così pienamente in nessun altro luogo. L’oggetto di “Roma” è dunque la riflessione sulla Città eterna. Dal titolo si evince che la città è la vera protagonista, come aveva già fatto con la raccolta “Mirgorod” e “Prospettiva Nevskij” e con quest’ultima si chiuse il triangolo toponomastico Mirgorod-Pietroburgo-Roma. Il frammento “Roma” si apre con la favolosa descrizione di Annunziata d’Albano, la donna per cui il protagonista principe romano venticinquenne perde la testa. I suoi occhi sono paragonati a un fulmine che, squarciando le nubi nere come carbone, scocca in un diluvio di luce abbagliante. Il principe è tornato a Roma dopo quindici anni trascorsi a Parigi, dove vi si era recato per motivi di studio. Qui Gogol’ ricorre al flashback per descrivere la vita parigina del giovane principe. All’epoca la Francia appariva come il paradiso delle novità, del cambiamento, del futuro, contrapposto a un’Italia stantia e decrepita. Gli “aridi schemi scolastici” dell’università italiana si scontrano con la scuola romantica capeggiata da Victor Hugo. Parigi è cangiante, attraversata da gente diversa in ogni minuto. I caffè sono una fucina di cultura, arte, innovazione, splendore, contrapposta all’Italia che riversa nel sonno artistico-culturale. Attraverso questo flashback, Gogol’ mostra di conoscere bene il tempo e i costumi, sia di Parigi che di Roma. L’Italia, a quei tempi, era vista come un angolo buio, lontano in cui ogni movimento era bandito e strozzato. Il principe torna nella penisola dopo aver appreso la triste dipartita del padre. Una volta concluse le pratiche burocratiche, egli può dedicarsi alla riscoperta dell’amata Roma, riguardandola con gli occhi di un forestiero, un viaggiatore incantato, abbandonandosial piacere estetico della flânerie. La Roma antica e imperiale si fonde armoniosamente con quella medievale e dei papi, e con quella moderna. Solo ora il principe si rende conto di quanto il XIX secolo e Parigi siano volgari e banali rispetto alla magnificenza di Roma. Quella di Gogol’ nei confronti di Roma è una vera e propria apologia; canta e venera la città italiana e l’Italia stessa. Una dichiarazione d’amore e di riverenza che l’autore fa nei confronti di una città molto cara che ha significato molto. Oltre all’amore Gogol’ mostra un’ampia conoscenza della storia antica e moderna italiana, dall’ aspetto sociale a quello politico ed è ben consapevole della condizione coeva italiana, spoglia dei suoi antichi poteri e prestigi. Al centro della sua ammirazione vi sono i romani, definiti da lui “popolo” e non “plebe”, forti, incorrotti, non condizionati dalla civiltà europea. Il flashback viene accantonato al momento della vista di Annunziata, bellissima, irreale, la cui bellezza incornicia il paesaggio. Ad onta della povertà della fabula, essa presenta una ricca gamma di temi e molti livelli di significato. L’opera è la riflessione gogoliana, il bilancio della sua esperienza romana, l’omaggio ad alcuni realia romani, e a un modo di vivere diverso da quello che si conduceva in Russia. E’ evidente che Gogol’ abbia usato il personaggio del principe per descrivere se stesso e il legame con Roma, con numerosi i richiami e le allusioni alla vita di Gogol’ : il soggiorno a Parigi, senza il quale non avrebbe sentito il bisogno di tornare nella sua patria. Si tratta di un monumento eretto a una città che a Gogol’ aveva ridato la voglia di vivere e l’ispirazione letteraria. Attraverso le parole del principe Gogol’ esprime tutto il suo rammarico e la sua disperazione per la condizione in cui è precipitata l’Italia, ma allo stesso tempo è speranzoso e fiducioso che un giorno non molto lontano l’Italia potrà tornare agli antichi splendori. Questo è solo un primo viaggio verso l’universo “italo-gogoliani”, le cui galassie sono percorribili grazie alle ricerche decennali di alcuni studiosi, tra cui l’autrice del testo che ha reso possibile questo articolo e queste informazioni.
Per chi mi segue già, tengo a precisare che questa è una rettifica dell’articolo precedente in cui, per inesperienza, una superficialità non edificante a cui è facile incorrere online, non ho citato correttamente la Professoressa Rita Giuliani, riportando adeguatamente i suoi riferimenti. Per l’onestà intellettuale e per la lealtà che dovrebbe vigere tra lo scambio di informazioni e nel mondo della ricerca, sento il dovere di porgere le mie scuse pubblicamente. Che questo sia un accorgimento per tutti i blogger, articolisti che, come me, hanno iniziato da poco a camminare su queste reti.
Fonti fluttuanti
La meravigliosa Roma di Gogol’. La città, gli artisti, la vita culturale nella prima metà dell’Ottocento”, Rita Giuliani
Le opere ritratte in foto sono dell’ artista Vincenzo Giovannini.