Nel precedente appuntamento fluttuante abbiamo percorso a ritroso le vicende del valoroso generale polacco Grabinski, salutandoci con la visione magnificente ed imponente della marmorea scultura, tra le opere più belle del museo a cielo aperto bolognese. In questo secondo e ultimo appuntamento sul Generale esploreremo le sue traversie, anche in vita dipinte da diversi colori e sfumature.
Josef Joachim Grabinski, noto ai più come Giuseppe Gioacchino Grabinski, nacque il 19 marzo 1771 a Varsavia, in una famiglia della media nobiltà proveniente dal voivodato di Sieradz. Seguendo un’antica tradizione familiare e forte della raccomandazione da amici altolocati del padre, divenne alfiere dell’ottavo reggimento di fanteria del Granducato di Lituania nel 1791. Erano anni difficili per l’Europa, gli aneliti di indipendenza si scontravano con la bramosia dei grandi, e la Polonia doveva difendersi dall’ immenso Impero Russo, proteso e deciso alla sua conquista, la stessa bramosia che nel secolo successivo condurrà le grandi entità territoriali europee ad inaugurare l’infausto periodo dell’imperialismo nel continente africano, le cui nefaste conseguenze sono visibili oggi più che mai. La Russia dichiarò guerra alla Polonia nel 1792, prima occasione in cui il giovane alfiere mostrò quella bravura e quel coraggio , che gli valsero l’insigne della croce Virtuti Militari e la consegna alla storia. I tempi erano molto bui, i russi erano ovunque, l’esercito lituano-polacco doveva esser ridotto, la russificazione permeava gli ambienti politici, amministrativi e burocratici : il paese doveva essere spartito. Nella primavera del 1794 cominciarono i combattimenti, il nostro si distinse subito per ingegno, temerarietà e capacità organizzativa delle truppe, ottenendo successi e difendendo in maniera superba la città di Wilno e la nomina come colonnello a soli 23 anni. I russi marciarono verso Varsavia, e con la loro forza e superiorità numerica segnarono la fine dell’insurrezione e la scomparsa della Polonia dalla carta politica d’Europa, divisa dalle tre potenze confinanti : Russia, Prussia e Austria. Il giovane colonnello fu imprigionato per due anni, per poi riemergere, come per magia, a San Pietroburgo, inebriato e inserito negli ambienti mondani, con una spiccata fortuna nel gioco che gli costò una vittoria di alcune migliaia di ducati, una somma molto ragguardevole per tornare a Varsavia. Il gioco, la vita mondana, i salotti, le donne, saranno sempre presenti nella vita del polacco, tra leggende, aneddoti, pettegolezzi locali. In città venne a sapere che il generale Jan Henryk Dabrowski (presente nell’insurrezione del 1794) stava formando una Legione polacca in Italia, affiancata agli eserciti della Francia, contro i nuovi padroni e usurpatori della Polonia. Le varie insurrezioni polacche non rimasero circoscritte alle questioni interne, diedero un respiro e accrebbero le possibilità di successo degli altri moti europei, scansando il nemico russo in Europa occidentale. Il contributo precipuo dei Polacchi alla causa della libertà e dell’indipendenza fu la partecipazione dei militari-esuli alle lotte liberatrici. In questo quadro, con il furor romantico delle parole del vate nazionale polacco Mickiewicz ,merita una degna nota Giuseppe Grabinski. Nel 1797 arrivò a Milano con la Legione polacca, ottenendo la nomina di Chef de bataillon dal Direttorio della Repubblica Cisalpina, tra il livore e la stizza dei suoi compagni. Nello stesso anno il battaglione polacco partecipò alle prime operazioni contro le truppe pontificie, occupando la Rocca di San Leo per svariati mesi, non senza sacrifici, come veniva denunciato nei rapporti del generale. In seguito ad una breve parentesi a Roma, Grabinski venne ingaggiato nell’esercito francese in partenza per l’Egitto, dove si succedettero scontri con la temibile cavalleria dei mammalucchi, concluse con l’occupazione de Il Cairo da parte di Napoleone. Nonostante l’ammirazione e lo stupore dinanzi i monumenti dell’antichità egizia, la curiosità con cui osservavano luoghi e la gente, i polacchi avevano fretta di tornare alla guerra a loro vicina, vicina alla loro Polonia. Dopo due anni lo ritroviamo a Milano, intento nel reclutamento di prigionieri di guerra austriaci di nazionalità polacca per rafforzare la Legione. Il valoroso Grabinski ci riuscì e ripresero i combattimenti, con l’assedio della rimarchevole Mantova, che si arrenderà all’inizio del 1801. I legionari polacchi osservano la disfatta e la disfatta di uno dei loro oppressori: gli austriaci. Terminata la campagna di Lombardia, la brigata di Grabinski entrò a far parte dell’armata francese di Gioacchino Murat, per cui proverà una profonda ammirazione, nonostante le loro strade si divideranno. Le forze armate polacche avevano raggiunto all’ incirca diecimila unità ed era necessaria una riorganizzazione : così Murat le divise in tre demi-brigades sul modello dell’esercito repubblicano francese. La divisione antecedette un momento molto delicato in quanto Napoleone necessitava di soldati polacchi per sedare le rivolte degli schiavi a Santo Domingo. Quella terra in cui imperversavano febbre gialla e violenze degli autoctoni era troppo lontana per i polacchi, non solo geograficamente, era lontana dal loro desiderio di un ritorno vittorioso in patria, era una guerra che non apparteneva loro assolutamente. Ma nulla si poteva contro la cupidigia dell’imperatore francese, una mezza brigata doveva partire. Fortunatamente non fu quella di Grabinski, grazie all’intercessione di Murat presso l’imperatore. Riuscirono a scampare il triste destino dei loro compagni, uccisi barbaramente, in una guerra non loro.
Ma anche in Italia si sarebbero scritte, a breve, delle tristi e buie pagine di storia. Nel 1803 Napoleone decise di occupare il Regno delle Due Sicilie, e fino a Napoli si susseguirono successi, Napoleone venne incoronato imperatore nel 1803, e Grabinski venne naturalizzato italiano e ricevette l’ambita onorificenza italiana : la Croce della Corona di Ferro. Nulla sembrava potesse fermare polacchi e francesi, in termini di forza e di strategia. Iniziò la marcia alla conquista della Calabria, momento in cui i tempi cominciavano a diventare difficili. Le perdite in Calabria furono cospicue, e i “selvaggi calabresi” torturarono e arsero vivi tutti i nemici lungo la strada, ammutinando l’esercito nel numero e nello spirito. Ma il nostro Grabinski, forte guerriero, ma anche inguaribile lussurioso, non mancò di intrattenersi con un’ affascinante ragazza del luogo, tal Ludovica Calegari, conosciuta in un postribolo bolognese mentre faceva la vita. Ed ecco che il nostro scomparve di nuovo dalla scena, fuori dall’ufficialità della storia, dentro le congetture del parlottìo ufficioso. Lo ritroviamo tre anni dopo, nominato Generale di Brigata, insignito della Legion d’Onore, di ritorno in Polonia, dopo la sconfitta della Prussia. A Breslavia prenderà forma una nuova Legione italo-polacca sotto il comando di Grabinski, destinata a prestare servizio in Germania. Un grande colpo di scena era dietro l’angolo, Grabinski ruppe con Napoleone e chiese il congedo in conseguenza al disegno imperiale d’inviare legionari polacchi per soffocare moti rivoluzionari spagnoli. I lancieri polacchi accorsero ugualmente, ottenendo una vittoriosa carica e scrivendo alcune delle pagine più avvincenti di storia militare, ma ideologicamente il nostro fu integerrimo, perché si trattò di una guerra di aggressione e non di liberazione della Spagna. A soli 37 anni decise di porre fine alla sua carriera, prediligendo una vita agiata, tranquilla, dedita al piacere, alle attività culturali e commerciali. Decise di rimanere in Italia e acquistò una proprietà in provincia di Bologna, a San Martino in Argine, con ettari di terra destinati ad agricoltura e bestiame.In quegli anni l’Italia era in stato di guerra con l’Austria, i combattimenti erano lontani dall’Emilia Romagna, attanagliata nella morsa del brigantaggio, i cui figuri imponevano riscatti e tributi in denaro e in natura. La situazione precipitò a tal punto che il comandante dei dipartimenti del Reno, del Basso Po e del Rubicone decise di appellarsi a un esperto di chiara fama per reprimere il banditismo, al nostro Generale in congedo, oramai gentiluomo di campagna. Acconsentì anche per difendere la propria tenuta, in pericolo insieme alle altre. Raccolse un reparto di appena 400 uomini con cui sconfisse i briganti nel luglio 1809 liberando Bologna, Ferrara e Ravenna. Seppur orgoglioso dell’impresa, tornò alla sua vita tranquilla in campagna, ma la sua nomea cresceva, in città era acclamato e, come ben sappiamo, non disprezzò mai la vita mondana. Nel 1811 sposò la giovane contessina Maria Anna Broglio, figlia di un aristocratico bolognese e una nobildonna veneziana, assicurandosi una vita di rendita e agiatezza che lo soddisfacevano molto. Un nuovo Grabinski, lontano dalla politica e dai combattimenti, viveva da ricco proprietario terriero abbiente e ben inserito nei circuiti aristocratici felsinei, con la tenuta in campagna e in città, partecipava attivamente ai lavori della Società Agraria della provincia, collezionava libri, manoscritti, stampe che lascerà alla Biblioteca dell’Archiginnasio. Fra il 1815 e il 1830 i Grabinski mantennero un elevato tenore di vita, nonostante il peggioramento delle congiunture economiche e il crescente fermento sociale nello Stato Pontificio. Durante gli anni ‘20 i diversi focolai insurrezionali prendevano vita, ma fu la notizia dell’insurrezione polacca ad elettrizzare il generale, risvegliando in lui la nostalgia per la terra natale lontana e per i suoi ideali. Così, quando insorse anche la patria adottiva, tolse i vestiti dell’allegra mondanità, riappropriandosi della foggia appartenuta in gioventù. Accettò senza esitazione di mettersi a capo del Comitato dei Tre con Luigi Barbieri e Emilio Gandolfi, con pieni poteri militari e il compito di organizzare l’esercito militare insurrezionale. Raggiunsero un numero sufficiente, mentre erano molto carenti e risorse finanziarie, l’equipaggiamento e gli armamenti. Per questo Grabinski rinunciò a qualsiasi ricompensa, consapevole del disperato bisogno di denaro del Governo provvisorio della città.
Nel febbraio del 1831 Gregorio XVI chiese ufficialmente l’intervento degli Austriaci mentre a Bologna venne proclamata la fine del potere temporale pontificio e la creazione di una repubblica indipendente. Il 2 marzo in Piazza Maggiore ebbe luogo la grande parata militare durante la quale furono schierati i reparti di fanteria, cavalleria, artiglieria, sotto il comando del valoroso polacco, fu letto il proclama di indipendenza e la costituzione delle Province Italiane Unite e formato il nuovo governo. Un proclama ricco di speranza per Polonia e Italia, che si somigliavano nelle sventure e nel valore. Le truppe austriache chiamate dalle autorità pontificie occuparono Modena e Ferrara, con l’obiettivo di conquistare Bologna, che fu presa il 23 marzo. Nonostante gli esemplari tentativi di difesa lungo la via Flaminia, il 26 marzo venne annunciata la capitolazione delle Province Unite e fu ristabilito il potere pontificio. Qualche giorno dopo partì da Ancona la prima nave di insorti per rifugiarsi a Parigi, dove salì anche il nostro. Grazie alla mediazione di Lafayette molti espatriati delle nazioni europee vennero aiutati, soprattutto tutti gli esuli polacchi sconfitti durante l’insurrezione novembrina in Polonia. Purtroppo mancano ricerche approfondite sui rapporti fra Grabinski e i suoi connazionali capi della Grande Emigrazione dopo il fallimento dell’Insurrezione novembrina. Non tornò mai più nella patria che gli diede i natali, e trascorse gli ultimi anni di vita nella tranquillità della tenuta rurale di San Martino in Argine, dove si spense il 25 agosto 1843 all’età di 71 anni. Delle sue vicissitudini post mortem ne abbiamo già parlato nello scorso appuntamento, quindi possiamo chiudere questo doppio appuntamento sull’ avvincente Generale. Le rivoluzioni polacche e italiane avvennero quasi contemporaneamente, con analogie e differenze. Entrambi i popoli videro crescere smisuratamente il regime reazionario, portando al limite la sopportazione, entrambi attesero l’occasione propizia per una rivolta dall’ ampio respiro,entrambi riposero le speranze nelle apparenti tendenze filo liberali, rispettivamente di russi e francesi. Le grandi potenze temevano il rovesciamento delle istituzioni politiche e dell’ascesa delle “classi basse” e l’anelito li indipendenza degli insorti non poté nulla contro gli eserciti organizzati dei sovrani. Nonostante il fallimento delle insurrezioni di cui sopra, i semi gettati dalle Rivoluzione Francese erano altro che sterili, e gli assetti istituzionali avrebbero avuto una vita breve.